Ricordiamo Riccardo De Luca, prima vittima del fascismo a Cosenza
Riccardo De Luca, prima vittima del fascismo a Cosenza (12 maggio 1921) |
Nel centro di Cosenza, tra via Popilia e il tribunale, c'è una strada intitolata a un giovane studente di cui si è persa o non si ha memoria, ucciso a rivoltellate dai fascisti nel maggio del 1921.
Tutti o quasi tutti conoscono la vicenda di Paolo Cappello, il muratore socialista della Massa, ucciso nel settembre del 1924 il cui omicidio è tuttoggi impunito. Il delitto Cappello - il primo in città dopo la presa del potere del fascismo - ha un fosco precedente (anch'esso impunito) inscritto nelle cronache cittadine come il primo omicidio a marca fascista quando ancora il fascismo "sgomitava" non solo per contare ma persino per esistere.
Le politiche del 1921 erano alle porte. Le liste ministeriali liberal-democratiche si preparavano a fare incetta di consensi in una bagarre elettorale dove i voti si compravano come i porci e più delle idee contavano parentami e clientele. Era soltanto il 12 maggio, ma la città di Cosenza si preparava ad accogliere in pompa magna l'arrivo dei "Tre Re Magi", gli onorevoli De Nava, Fera e Colosimo, esponenti del listone simboleggiato dall'aratro, che avrebbero chiuso la campagna con un comizio nel più importante teatro cittadino. I fascisti, che a quelle elezioni non presentavano candidati propri, li appoggiavano.
Quel giorno in città l'evento più sentito in città era l'inaugurazione del gagliardetto della locale sezione fascista che si sarebbe tenuto nel teatro Massimo, omaggiato da un infuocato discorso del nazionalista paolano (e futuro deputato) Maurizio Meraviglia.
Il fascio cosentino, che già da un paio d'anni muoveva i primi passi in città e provincia grazie all'attivismo di Luigi Filosa, Agostino Guerresi (futuro prefetto di Cosenza) e di un manipolo di uomini giovani e senza scrupoli come il centurione Antonio Zupi (che guiderà i militi cosentini all'occupazione della città e della prefettura di Foggia, poco dopo la marcia su Roma), non era ancora in grado d'incidere nelle dinamiche cittadine mancando d'idee ma soprattutto uomini in grado di mantenere l'ordine pubblico.
Il comizio di De Nava e l'inaugurazione del gagliardetto si svolsero senza problemi. L'entusiasmo era grande, gli animi infuocati, e dopo i due eventi si formò un corteo spontaneo di squadristi che percorse corso Telesio dispensando manganellate a quanti non si fossero levati il cappello al passaggio del gagliardetto. Si rifiutò il socialista Eugenio Dionesalvi e venne pestato. Ma il peggio doveva ancora avvenire. Giunto in piazza, il corteo di camicie nere s'imbattè in un gruppo di "sovversivi" (termine adoperato nelle carte della polizia) tra cui Natino La Camera, Salvatore Martire, Pasquale Coscarella, Rodolfo Corigliano, Manlio Parise e Nicola Dimizio.Quel giorno però i rinforzi arrivarono a bordo di autocarri provenienti da Reggio al seguito di De Nava, il quale oltre alla sua personale scorta aveva reclutato i peggiori e più scalmanati elementi da Reggio, Palmi e Gioia Tauro, rigorosamente equipaggiati con manganello, staffile e rivoltella.
Il copione era sempre il solito: al rifiuto di levarsi il cappello, seguivano minacce, poi manganellate. Ma quella volta si andò oltre. Dal corteo partì una sassaiola a indirizzo dei malcapitati, poi una rivoltella fece fuoco per almeno tre volte.Nella bagarre vennero feriti anche Andrea Martorelli e Giuseppe Guglielmelli e persino il procuratore del Re, ma si disse che era stato un incidente.
A terra rimase il giovane studente-lavoratore d'idee comuniste Riccardo De Luca. I "suoi" non fecero neppure in tempo a soccorrerlo che furono immediatamente bloccati dalle guardie di pubblica sicurezza.
L'uccisore di De Luca vennne individuato immediamentente in un nazionalista reggino vestito da ardito fiumano che riuscì a scappare spalleggiato dai membri della locale squadra d'azione denominata "La Disperata".
Pur condannando il brutale omicidio l'avvocato di Malito, Pietro Mancini, (al quale sarebbe toccato il secondo scranno socialista calabrese alla Camera) auspicò contegno e silenzio dinanzi alla bara del giovane ucciso perchè l'ora della giustizia non sarebbe tardata a venire.
Ebbe torto Mancini perché come nel caso di Cappello quell'ora non scoccò mai. L'omicidio di Riccardo De Luca, il primo di marca fascista in città, rimase impunito. Una rivoltella tornò a colpire nel 1924 ma quella è un'altra storiaccia.
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